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Napoli Greco-Romana e “Neapolis Sotterrata”

(1 Valutazione)
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Da20 €
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5 Giugno 2023

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2.30 H
Disponibile: Sempre
Piazza Bellini (Napoli)
Scavi archeologici di San Lorenzo Maggiore (Napoli)
Min Età: 11+
Max Persone: 40
Dettagli del Tour

Una passeggiata a ritroso nel tempo alla scoperta della Neapolis delle origini che, a dispetto dei secoli, ha lasciato le sue tracce in tutto l’assetto urbano del Centro Storico moderno.

Partendo dai resti della cinta muraria di Piazza Bellini, proseguiremo attraverso i decumani alla scoperta dei luoghi di culto e dei simboli pagani che, attraverso stratificazioni e riscoperte, testimoniano tutt’ora le origini greco-romane e le influenze egiziane (Campanile Pietrasanta e Tempio di Diana – Statua del dio Nilo).

A seguire visita al Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore, imponente basilica Medievale in stile gotico, costruita al di sopra di una basilica paleocristiana. Per concludere visita all’Agorà/Foro greco-romano, sepolta al disotto del complesso medievale, dove sono splendidamente conservati l’erario, le botteghe, il portico e la Schola con i suoi mosaici.

L’itinerario ideale per gli amanti della storia e dell’archeologia.

Luogo di Partenza e di Arrivo

Piazza Bellini (Napoli) – Scavi Archeologici di San Lorenzo Maggiore
(Napoli) (Google Map)

Orario di Partenza

10.30 il Tour termina dopo circa 2 ore e mezzo

Servizi Inclusi

  • Biglietto Ingresso a Complesso Monumentale San Lorenzo Maggiore
  • Biglietto Ingresso a Neapolis Sotterrata
  • Guida Specializzata

Servizi Esclusi

  • Guide Service Fee
  • Driver Service Fee
  • Any Private Expenses
  • Room Service Fees

Equipaggiamento Richiesto

  • Vestiario comodo
Esperienza e Luoghi Visitati

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  • Mura greco-romane di Piazza Bellini
  • Campanile della Pietrasanta
  • Corpo di Napoli
  • San Giorgio Maggiore
  • San Lorenzo Maggiore
  • Agorà greco-romana sotterrata
Itinerario

PartenzaPiazza Bellini

Piazza Bellini è una piazza ubicata sul decumano maggiore di Napoli ed una delle più frequentate della città per il cospicuo numero di locali che si affacciano sulla stessa piazza.

La piazza, di forma rettangolare, è stata sempre uno dei maggiori luoghi di ritrovo intellettuale della città perché circondata da numerose sedi universitarie e molto vicina all’Accademia di Belle Arti ed al Conservatorio di San Pietro a Majella, nel quale studiarono importanti compositori nazionali tra cui Vincenzo Bellini, che dà il nome a tutto lo slargo e che è rappresentato in piazza con una statua di Alfonso Balzico del 1886 posta al centro.

La piazza è circondata da palazzi monumentali dei secoli XVI e XVII che costituiscono importanti impronte dell’arte rinascimentale e barocca napoletana, come il Palazzo Castriota Scanderbeg o il palazzo Firrao. Sul lato sud sovrasta il Complesso di Sant’Antonio delle Monache a Port’Alba, oggi sede della biblioteca della facoltà di “Lettere e filosofia”, mentre sul lato opposto vi è il palazzo De Rossi di Castelpetroso (detto anche palazzo Mastellone). Domina il lato ovest infine quello che un tempo fu il palazzo dei Principi di Conca, edificato nel tardo XV secolo e che mostra sulla facciata ancora alcune emergenze architettoniche originarie.

Infine, nel limite occidentale vi sono alcuni resti delle mura della Neapolis greca, scoperti in parte nel 1954 e successivamente nel 1984.

La piazza è crocevia di tre importanti strade del centro storico, via Port’Alba (alle spalle dell’antica porta onoraria della città), via san Sebastiano (nota come la via della musica in quanto concentrati in loco numerosi negozi di strumenti musicali) e via Santa Maria di Costantinopoli (la via che conduce al museo archeologico nazionale).

Decumani

I decumani di Napoli sono tre antiche strade di Napoli create alla fine del VI secolo a.C. durante l’epoca greca costituenti il cuore del centro antico della città.

Le strade sono tre e scorrono parallelamente l’una dall’altra attraversando da est a ovest la città, parallelamente rispetto alla costa. Il termine decumano utilizzato in via ufficiale risulta in realtà un termine improprio in quanto esso caratterizza un sistema di urbanizzazione di epoca romana. Neapolis, invece, venne fondata come colonia greca[1], dunque ben prima dell’avvento dei romani.

Il sistema greco prevedeva uno schema stradale ortogonale in cui tre strade, le più larghe (circa sei metri[2]) e grandi, parallele l’una all’altra, chiamate plateiai (singolare: plateia), attraversavano l’antico centro urbano suddividendolo in quattro parti. Inoltre, tali vie principali vengono tagliate perpendicolarmente, da nord a sud, da altre strade più piccole (larghe circa tre metri) chiamate stenopoi (singolare: stenopos) o più impropriamente “cardini”, le quali strade oggi costituiscono i vicoli del centro storico cittadino.

La rete stradale dunque, risulta essere caratterizzata di fatto da strade principali (plateiai) e strade secondarie (stenopoi) che combinate tra loro, dividono lo spazio in isolati quadrangolari regolari, spesso in strigae molto allungate. Si conta che le strade secondarie di Napoli che tagliano le tre plateiai siano in numero variabile tra le diciassette e ventiquattro.[3]

I tre decumani vedevano nelle due laterali una sostanziale similitudine mentre la centrale risultava essere più grande rispetto alle altre due e rappresentava per l’appunto la via più importante della città antica. La plateia centrale corrisponde oggi a via dei Tribunali e nel punto centrale di quest’arteria era disposta, durante l’epoca greca, l’agorà, mentre in quella romana il foro.

L’agorà stessa, oggi corrispondente a Piazza San Gaetano, era divisa in due dalla via maggiore dove nel lato nord, nei pressi della Basilica di San Paolo Maggiore, avvenivano le funzioni religiose mentre nel lato sud, verso la Basilica di San Lorenzo Maggiore, vi erano il mercato, l’aerarium ed altre strutture con funzioni civili. Non a caso, gli scavi di san Lorenzo Maggiore, visitabili dentro l’omonima chiesa, mostrano i resti di epoca greca degli stessi mercati.

Il sistema stradale antico di Napoli oggi è rimasto sostanzialmente invariato avendo in alcuni punti un livello massimo di corrispondenza rispetto alla struttura originaria, mentre, in altri, un livello più basso per via di modifiche, talune volte radicali, che ha subito col tempo l’antico assetto urbano.

Il primo caso è quello di Spaccanapoli che, infatti, se ammirata dalla collina del Vomero, mostra ancora la sua perfetta linearità dal punto iniziale a quello finale del percorso. Il secondo caso, invece, è quello del decumano superiore, corrispondente a via della Sapienza, Pisanelli, dell’Anticaglia e degli Apostoli, il quale vede notevolmente mutato il suo aspetto antico mostrando in più punti stravolgimenti della sua direzione.

Tra i cardini che invece hanno subito una più radicale risistemazione in epoche future, va citata l’attuale via Duomo, la cui strada subì un sostanziale ampliamento rispetto alla dimensione originaria a seguito degli interventi di risanamento che hanno interessato la città verso la fine del XIX secolo.

I tre decumani sono:

il decumano superiore;
il decumano maggiore;
il decumano inferiore.

Tutte e tre le vie principali del nucleo antico fanno parte della porzione di centro storico di Napoli protetto dall’Unesco[4] e contengono al loro interno un elevato numero di palazzi nobiliari, chiese monumentali e siti archeologici della città.

Per sola semplicità e consuetudine, oggi nell’uso comune i termini plateiai e stenopoi sono stati sostituiti dai termini romanici successivi decumani e cardini. Nel periodo romano, le strade non hanno comunque smesso di essere vissute come principali della città venendo, in alcuni casi, altresì allungate lievemente verso est (è questo il caso del decumano inferiore, che venne allungato nel tratto da piazza del Gesù Nuovo fino a via Domenico Capitelli).

Campanile Pietrasanta, Tempio di Diana e Statua del Dio Nilo

Campanile Pietrasanta
E’ il campanile della chiesa della Pietrasanta a Napoli1, a cui appartiene come unico avanzo della primitiva versione, dalla quale resta isolato con facciata aperta a via Tribunali ed un’ altra ancora su via del Giudice.

Esso è la testimonianza, secondo come scrivono il Toesca ed il Lavagnino, di quella ricca fioritura di opere d’arte nata in Campania all’incontro di gusti e forme architettoniche orientali con quella ancor viva tradizione romana della Regione.

Per quanto rigurda la storia del Campanile, a lungo se ne è ritenuta costruzione del VI secolo e solo nell’Ottocento secondo Schipa e Croce si è considerata valida l’ipotesi che il manufatto fosse stato eretto assieme alla chiesa2.
Bertaux, per l’inserimento di marmi di spoglio tra la cortina di mattoni, lo riferisce contemporaneo del XI secolo aggiungendo uno strano riferimento alla casa di Cola di Rienzo anche se nella casa romana l’uso che se ne è fatto del materiale di spoglio ha avuto una funzione, lo si vede, meramente figurativa, suggestiva si aggiunge.

Mentre per il Campanile della Pietrasanta l’impiego di marmo di spoglio fu solamente una necessità.

Tempio di Diana
E’ una grande aula a pianta circolare iscritta in un ottagono, con una copertura ogivale. L’iniziale ritrovamento, da parte di alcuni antiquari napoletani, di bassorilievi con scene di caccia ha fatto pensare ad un tempio dedicato a Diana.
Tuttavia alcuni studiosi sostengono che l’edificio sia stato edificato, probabilmente durante l’età severiana, per celebrare la famiglia imperiale.

Statua del Dio Nilo
La statua del dio Nilo è una scultura marmorea di epoca romana databile tra il II e III secolo d.C. e che insiste nel largo Corpo di Napoli, nel cuore del centro storico della città partenopea.

La storia legata alla scultura risale ai tempi della Napoli greco-romana, quando nell’area in cui tuttora insiste il monumento si stabilirono numerosi egiziani (provenienti da Alessandria d’Egitto); le colonie erano formate da ceti sociali differenti tra loro, viaggiatori, mercanti e schiavi.

Il popolo napoletano non si dimostrò avverso a questo fenomeno, tant’è che le colonie vennero soprannominate le «nilesi», in onore del vasto fiume egiziano. Gli alessandrini decisero così di erigere una statua che ricordasse loro proprio il fiume Nilo, elevato ai ranghi di divinità portatrice di prosperità e ricchezza alla loro terra natia.

Nei secoli successivi, dopo essere caduta in oblio, la statua fu ritrovata acefala verso la metà del XII secolo, quando l’edificio del seggio fu costruito nell’area dell’attuale largo, venendo collocata così all’angolo esterno dello stesso palazzo. Il ritrovamento è riportato, nelle loro opere storiche, da Camillo Tutini, Giovanni Antonio Summonte e, in epoca assai più recente, da Ludovico de la Ville Sur-Yllon[1].

Successivamente, con molta probabilità, la statua visse nuovamente momenti di abbandono finché non se ne persero di nuovo le tracce, per poi essere ancora una volta riscoperta solo nel XV secolo.

Bartolommeo Capasso ipotizzò che fu ritrovata durante i lavori di demolizione che interessarono parte dell’antico edificio del seggio di Nilo (i cui resti secondo Roberto Pane sono riscontrabili nei tre portici inglobati nei muri del palazzo Pignatelli di Toritto) attorno e non prima del 1476, quando le famiglie del seggio, notata la fatiscenza dell’edificio, acquistarono per la nuova sede una parte del monastero di Santa Maria Donnaromita.
A causa dell’assenza della testa, che non permise un’identificazione certa del soggetto, fu interpretata erroneamente come la statua di un personaggio femminile, per via della presenza di alcuni bambini (i putti) che sembrano allattarsi in seno alla madre. L’opera, secondo le cronache antiche, a partire dalla trecentesca Cronaca di Partenope e dalla Descrittione dei luoghi antichi di Napoli del 1549 di Benedetto De Falco, stava a simboleggiare la città madre che allatta i propri figli; da qui nacque il nome cuorpo ‘e Napule (corpo di Napoli), dato anche al largo dove è tuttora ubicata.

Tuttavia Angelo Di Costanzo, che scrisse nel 1581 sotto lo pseudonimo di Marco Antonio Terminio l’Apologia di tre illustri Seggi di Napoli, dove sostiene la maggiore nobiltà dei tre seggi (o sedili) di Porto, Portanova e Montagna a scapito dei due seggi di Nilo (definito con la corruzione “Nido”) e Capuana, che dalla loro avanzavano altrettante pretese di primazia, riconosce e indica testualmente la statua come imagine del fiume Nilo. D’altronde il seggio ebbe il nome “Nilo” (poi corrotto in “Nido”) proprio per via del ritrovamento, segno che fu in origine identificato il vero significato della statua, ma col tempo questo fu perlopiù dimenticato.

Solo nel 1657, quando fu totalmente demolito il vecchio edificio del sedile, la scultura fu adagiata su un basamento e restaurata per iniziativa delle famiglie del seggio dallo scultore Bartolomeo Mori, il quale integrò la statua con la testa di un uomo barbuto, le sostituì il braccio destro e vi apportò la cornucopia, la testa del coccodrillo presso i piedi del dio, la testa della sfinge posta sotto il braccio sinistro e i vari putti. Infine sul basamento fu posta un’epigrafe a ricordo, il cui testo, anche se in maniera imprecisa[2], fu riportato da Tommaso De Rosa nella sua opera del 1702 intitolata Ragguagli storici della origine di Napoli, realizzata con l’ausilo dello zio Ignazio.

Dopo che fu persa la prima epigrafe e la statua fu danneggiata, nel 1734 fu applicata l’epigrafe dettata dal noto erudito Matteo Egizio che tuttora si può leggere, in occasione dei lavori di restauro patrocinati dalle nobili famiglie Dentice e Caracciolo e promossi da varie personalità tra cui l’architetto Ferdinando Sanfelice.

Ulteriori poderosi restauri furono apportati dallo scultore Angelo Viva tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del XIX secolo alle parti integrate dal Mori che, a quanto pare, dovevano aver subito nel frattempo pesanti atti vandalici. Lo stesso scultore narra esplicitamente di una statua ormai ridotta a «monco di busto» cui aveva ricostruito ex novo quasi tutte le membra e quasi tutti gli elementi decorativi che la circondavano.

Durante il secondo dopoguerra, due dei tre putti che circondavano in basso la divinità nonché la testa della sfinge che caratterizzava il blocco di marmo furono staccati e rubati, probabilmente per rivenderli al mercato nero. La testa della sfinge verrà ritrovata nel 2013 in Austria, dopo sessant’anni dal furto, dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri. Al momento della diffusione della notizia, il comitato per il restauro della statua si era già ricostituito per intraprendere una nuova pulizia del monumento dopo che erano passati vent’anni dall’ultimo intervento, eseguito sempre per iniziativa del comitato nel 1993.

Il restauro, che si è prefisso anche di ricollocare la testa ritrovata, è durato per quasi tutto il 2014 e si è concluso nel mese di novembre. Il 15 novembre 2014 la statua è stata presentata alla città con una solenne inaugurazione.

Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore

La basilica di San Lorenzo Maggiore è una basilica monumentale di Napoli, tra le più antiche della città, ubicata nel centro antico, presso piazza San Gaetano.

Storicamente ed artisticamente è uno dei complessi monumentali più rilevanti della città.[1] All’interno del convento ha sede il Museo dell’Opera di San Lorenzo Maggiore, che comprende inoltre la visita agli scavi archeologici omonimi.
Nel 1235 il papa Gregorio IX ratificò la concessione di una chiesa dedicata a san Lorenzo da erigere in città. All’epoca sono documentate in città la presenza di almeno altre cinque chiese dedicate al santo, con quella del Foro, di epoca paleocristiana, assegnata ai frati francescani come edificio su cui sarebbe stato costruito il nuovo tempio.

Carlo I d’Angiò a partire dal 1270,[1] quindi non molto tempo dopo la sua vittoria su Manfredi, iniziò a sovvenzionare la ricostruzione della basilica e del convento, in una mescolanza di stile gotico e francescano.

Ad architetti francesi si deve l’abside, prima parte edificata della chiesa, ritenuta unica nel suo genere in Italia ed esempio classico di gotico francese. Nel passaggio dall’abside alla zona del transetto e della navata si andò affermando invece uno stile maggiormente improntato al gotico italiano, segno del mutamento dei progettisti e delle maestranze avvenuto con il passare degli anni.

Negli anni successivi la basilica fu protagonista di importanti eventi storici per la città ed il regno più in generale: san Ludovico da Tolosa, rinunziatario al trono del padre Carlo II d’Angiò, a beneficio del fratello Roberto d’Angiò, fu infatti consacrato sacerdote in questa basilica. Altra consacrazione celebre fu quella di Felice Peretti, vescovo di Sant’Agata de’ Goti, il futuro papa Sisto V.

Nel 1343 soggiornò nel convento Francesco Petrarca, come egli stesso documentò in una lettera all’amico Giovanni Colonna, descrivendogli il maremoto che il 25 novembre colpì la città, mentre Giovanni Boccaccio pare che qui si innamorò di Fiammetta, la bella Maria d’Aquino, figlia del re Roberto d’Angiò, sua musa ispiratrice, dopo averla vista nella basilica durante la messa del sabato santo del 1334.

A partire dal XVI secolo la basilica è stata oggetto di numerosi rimaneggiamenti dovuti anche ai danni dei terremoti o ai fatti storici che colpirono la città ed il convento; il chiostro divenne infatti deposito di armi dei Viceré spagnoli e nel 1547 il campanile fu posto sotto assedio dal popolo nella rivolta contro Pedro de Toledo.

Altri eventi si ebbero poi anche nel secolo successivo, come nel 1647 quando i seguaci di Masaniello presero d’assalto la torre campanaria utilizzandola come avamposto di artiglieria contro gli spagnoli. I lavori di adeguamento, ad opera di architetti locali, previdero in questo secolo e nel XVIII rifacimenti barocchi, i quali interessarono in particolar modo la facciata della chiesa che fu totalmente rifatta nel 1742.

A partire dal 1882 i restauri, più volte interrotti e ripresi, sino all’ultimo, terminato nella seconda metà del XX secolo, cancellarono progressivamente le aggiunte barocche, ad eccezione della facciata e della controfacciata, opera di Ferdinando Sanfelice, della cappella Cacace e del cappellone di Sant’Antonio, opera di Cosimo Fanzago.

Tra gli anni cinquanta e anni sessanta del Novecento furono eseguite opere di consolidamento da Rusconi per bloccare il crollo delle mura attraverso un contrafforte e opere di cemento armato.

ArrivoScavi Archeologici di San Lorenzo Maggiore

Gli scavi archeologici di San Lorenzo Maggiore sono un sito archeologico di Napoli localizzato nell’area sottostante la basilica omonima.

Il sito fa parte del circuito del museo dell’Opera di San Lorenzo Maggiore.
Gli scavi, iniziati nel 1976 hanno rimesso in luce i resti del macellum della Neapolis sorto in corrispondenza dell’antico decumano maggiore. La struttura antica presentava al centro di una colonnata circolare. Tholos che doveva ospitare una fontana.

In corrispondenza dei lati dell’attuale chiostro, si aprivano dei porticati con ambienti sul fondo, destinati a bottega. Il macellum era organizzato a terrazzamenti, adattandosi alla particolare conformazione del terreno.

Aprivano alcune botteghe commerciali e forse, l’antico Aerarium dov’era custodito il tesoro cittadino. Gli scavi, iniziati negli anni 80 ed interrotti svariate volte per mancanza di fondi, e conclusi nel maggio 2009, grazie ai finanziamenti della comunità europea, hanno riportanto alla luce l’altra metà del complesso archeologico: oggi risulta che, rispetto alla parte aperta ai visitatori nel 1993, l’area si sia raddoppiata.

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Piero de Cindio

Unico Partecipante

Ottimo Tour da rifare sicuramente

30 Luglio 2017