Visita guidata al Duomo ed al Museo del Tesoro alla scoperta della storia, le tradizioni, i culti e le leggende legati a San Gennaro, il primo ed il più amato tra i ben 52 patroni di Napoli.
Intimamente connesso alle alterne vicende ed alle vicissitudini del popolo partenopeo, il culto del santo, famoso in tutto il mondo per il miracolo della liquefazione del sangue, ha ispirato opere di artisti che, attraverso i secoli, ci hanno lasciato vivide testimonianze pittoriche, scultoree, architettoniche, letterarie e musicali di quella che potremmo definire una storia infinita mista di passione e devozione.
Attraverso queste opere immortali ripercorreremo i momenti più importanti e meno noti di questa storia intrisa di fede e mistero che, attraverso i secoli, è giunta fino a noi senza mai perdere il suo fascino.
Duomo (Napoli) (Google Map)
10.30 il Tour termina dopo circa 3 ore
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Il duomo sorge lungo il lato est della via omonima, in una piazzetta contornata da portici, e ingloba a mo’ di cappelle laterali altri due edifici di culto sorti autonomamente rispetto alla cattedrale: la basilica di Santa Restituta, che custodisce il battistero più antico d’Occidente[1], quello di San Giovanni in Fonte, e la reale cappella del Tesoro di san Gennaro, che conserva le reliquie del santo patrono della città.
Si tratta di una delle più importanti e grandi chiese della città, sia da un punto di vista artistico, essa è di fatto la sovrapposizione di più stili che vanno dal gotico puro del Trecento fino al neogotico ottocentesco, che sotto un profilo culturale, ospitando infatti tre volte l’anno il rito dello scioglimento del sangue di san Gennaro.
Secondo la Cronaca di Partenope, risalente al XIV secolo, nell’area in cui insiste il complesso religioso sorse l’oratorio di Santa Maria del Principio dove Aspreno, il primo vescovo della città databile al I secolo, decise di insediare l’episcopato di Napoli. A partire dal IV secolo nacquero diversi edifici di culto nell’insula episcopale e tra queste si ricordano la basilica di Santa Restituta, edificata nel 334 dal vescovo Zosimo sulle rovine del preesistente tempio di Apollo, il battistero di San Giovanni in Fonte e diverse cappelle annesse come quelle di San Lorenzo, Sant’Andrea e Santo Stefano.
Nel XIII secolo fu iniziata la costruzione dell’edificio sacro inglobando le precedenti strutture paleocristiane del battistero e della primitiva basilica; la costruzione della cattedrale comportò anche la demolizione di altre strutture, come la basilica Stefania, voluta dall’arcivescovo Stefano I (fine del V secolo – inizi del VI) e rimaneggiata dopo un incendio dall’arcivescovo Stefano II (seconda metà dell’VIII secolo), il cui quadriportico è visibile nel palazzo arcivescovile. La struttura era stata decorata con mosaici e panni dipinti, collocati negli intercolumini delle navate dall’arcivescovo Attanasio I (849-872).
Per la progettazione e la costruzione della nuova chiesa, per volontà del re Carlo II di Napoli[2] e d’intesa con l’arcivescovo Giacomo da Viterbo, che aveva sollecitato al sovrano tale opera, vennero chiamati architetti di estrazione francese.
La seconda parte del cantiere fu eseguita da maestranze locali o italiane: le fonti indicano Masuccio I, Giovanni Pisano e Nicola Pisano. La cattedrale fu completata sotto il regno di Roberto d’Angiò nel 1313 e nel 1314 fu solennemente dedicata all’Assunta, ad opera dell’allora arcivescovo Umberto d’Ormonte. Nel 1322 il cardinale Filomarino disfece la grande statua equestre in bronzo posta da secoli nello slargo antistante la Stefania.
Egli mal sopportava le credenze e le superstizioni esistenti attorno a quella scultura, della quale si diceva fosse stata scolpita da Virgilio con una stregoneria e che avesse il potere di guarire i cavalli malati. Venne quindi fusa per farne campane per la cattedrale.
Durante il terremoto del 1349 crollarono il campanile e la facciata, che venne ricostruita agli inizi del XV secolo in stile gotico. A metà del secolo, un altro terremoto danneggiò gravemente la cattedrale, facendo crollare alcune parti della navata, che in seguito fu però ricostruita.
Tra il 1497 e il 1508 fu realizzata come cripta la cappella del Succorpo, con decorazioni di Tommaso Malvito. In seguito al voto fatto dai partenopei al santo Gennaro durante la pestilenza del 1526, Francesco Grimaldi innalzò in segno di sua devozione, di fronte alla basilica di Santa Restituta, la reale cappella del Tesoro. Nel 1621 il tetto a capriate venne coperto da un cassettonato in legno. Il 28 aprile 1644 la dedica all’Assunta fu confermata nella consacrazione della chiesa, avvenuta ad opera del cardinale Ascanio Filomarino, arcivescovo dell’epoca.
Nel 1688 e nel 1732 furono ricostruite le parti più danneggiate dai terremoti e nella seconda metà del Seicento, si ebbero gli interventi barocchi nelle cappelle, arricchite da decorazioni marmoree e in stucco. Nel 1732 vennero ricostruiti l’abside e i transetti.
Nel 1788 un ulteriore restauro apportò modifiche alla navata, trasformata secondo un revival gotico con influssi settecenteschi. Con l’allargamento di via Duomo nel 1868 su progetto di Francesconi e Cangiano si costruisce un porticato simmetrico ad angolo sui due lati del largo prospiciente la facciata. Nel 1876 venne bandito un concorso per la facciata del Duomo, vinto da Errico Alvino: i lavori del nuovo prospetto in stile neogotico, iniziati nel 1877, si conclusero nel 1905.
Durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti alleati danneggiarono le strutture e pertanto, tra il 1969 e il 1972, vennero effettuati restauri e consolidamenti strutturali all’intero edificio. Durante i lavori vennero portati alla luce resti archeologici romani, greci e alto-medievali oggi opportunamente fruibili e con reperti raccolti e organizzati. Uno dei più recenti restauri è stato apportato alla cappella del Succorpo e ha permesso il recupero del cassettonato marmoreo del Cinquecento.
Il museo è stato aperto al pubblico nel dicembre 2003 grazie ad un progetto finanziato da aziende private, da fondi europei e dalle istituzioni locali e sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica Ciampi, e su proposta della Deputazione della Reale Cappella del Tesoro, istituzione tra le più antiche in Italia (è nata nel 1601). Il curatore del progetto è l’attuale direttore Paolo Jorio.
L’area museale è di oltre settecento metri quadrati ed espone le sue opere (che in precedenza non erano mai state offerte alla visione del pubblico) nei locali sottostanti la Cappella del Tesoro, per una serie di collezioni d’arte comprendenti gioielli, statue, busti, tessuti pregiati e dipinti di grande valore.
Tra gli articoli più interessanti una mitra (copricapo vescovile) del 1713 dell’orafo Matteo Treglia, in cui sono incastonate numerose pietre preziose (diamanti, rubini e smeraldi).
Unica nel suo genere è la pregevole collezione degli argenti (circa 70 pezzi) che, abbracciando un arco di tempo che va dal 1305 all’età contemporanea, si presenta intatta non avendo mai subito manomissioni a causa di furti ed è per quasi totalità opera di maestri della scuola napoletana.
Il percorso museale prevede anche la visita alle tre sacrestie della Cappella del Tesoro, di recente sottoposte a restauro e contenenti pregevoli dipinti di Luca Giordano, Massimo Stanzione, Giacomo Farelli e Aniello Falcone, mai aperte al pubblico prima.
Durante gli eventi bellici del ’40-45, il Tesoro di San Gennaro fu conservato in Vaticano e riportato in Cattedrale nel 1947 grazie ad un viaggio avventuroso dal napoletano Giuseppe Navarra, soprannominato ‘o rre di Poggioreale che riuscì a far pervenire i preziosi intatti nelle mani dell’allora arcivescovo Alessio Ascalesi[1]. Secondo studi fatti da un pool di esperti che hanno analizzato tutti i pezzi della collezione, il tesoro di san Gennaro sarebbe addirittura più ricco di quello della corona d’Inghilterra della regina Elisabetta II e degli zar di Russia.
Si tratta di una delle massime espressioni artistiche della città,[1] sia per la concentrazione ed il prestigio delle opere in esso custodite, sia per il numero di artisti di fama internazionale che hanno partecipato alla sua realizzazione. Le decorazioni pittoriche e ad affresco dell’interno, eseguite prevalentemente dal Domenichino e dal Lanfranco, fanno della cappella l’epicentro della pittura barocca emiliana a Napoli.
Grazie a diverse bolle pontificie, la reale cappella non appartiene alla curia arcivescovile, bensì alla città di Napoli rappresentata da un’antica istituzione civica, ancora oggi esistente, la Deputazione, e dai sedili di Napoli.
Dal 2003 alcuni ambienti adiacenti alla cappella ospitano il Museo del Tesoro di san Gennaro, esponendo ex-voto e donazioni offerte al santo nel corso di circa sette secoli da parte di re, papi e illustri personalità dell’aristocrazia napoletana ed europea.